LEGA NAZIONALE CONTRO LA PREDAZIONE DI ORGANI
E LA MORTE A CUORE BATTENTE
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COMUNICATO STAMPA
 Anno XXVII n.3
25 Marzo 2011

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NELL'ANNIVERSARIO DELL'ESPIANTO DI PIETRO TARANTINO
OMICIDIO DOLOSO
Il ricordo del fratello

Era la vigilia di Pasqua, mio fratello Pietro, camionista, sposato e padre di due figli, quella mattina doveva recarsi a Milano per una commissione. Giunto a Vaprio d'Adda si scontrò con un altro autoarticolato: erano da poco passate le 7. Nello scontro Pietro riportò un trauma cranico e cadde in coma. In un primo momento mio fratello venne portato al pronto soccorso di Vaprio d'Adda e poi trasferito con elicottero agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Qui iniziò il calvario.

Fummo avvertiti verso le 9. Io e mia cognata arrivammo all'ospedale di Bergamo intorno alle 11. Ci venne incontro una dottoressa che ci disse che mio fratello era morto e dovevamo subito firmare per l'espianto degli organi. Ho risposto che prima di firmare volevo vederlo. Passava il tempo, sembrava un sequestro. Dopo molte insistenze, verso le 14 potei entrare nella rianimazione della neurochirurgia. Lì, toccai a mio fratello le piante dei piedi, i palmi delle mani, le ascelle. Rispondeva: ritirava le gambe e si muoveva al contatto con la mia mano. Era vivo. Io faccio il pranoterapeuta a Brugherio e so che mio fratello era vivo e avrei potuto aiutarlo. Il primario mi negò il permesso, ma io nel corso della giornata riuscii ad entrare e a trasmettergli energia.
La mattina seguente, quando arrivai, Pietro era in un'altra sala più importante con delle flebo attaccate. Osai pensare che fosse un miglioramento. Invece alle 2 del pomeriggio il primario della Rianimazione, ci chiamò nel suo studio e ci chiese gli organi di Pietro “per salvare altre vite”. Gli dissi che mio fratello si doveva salvare perché era vivo. Il primario replicò che “in ogni caso sarebbe rimasto su una carrozzella”. Ci fu uno scontro tra noi e il primario continuava a ripetermi “guardi che non posso sprecare una macchina per suo fratello” (da allora penso che se voleva risparmiare poteva lasciarlo morire tra le nostre braccia e non macellarlo). Pretendeva che firmassimo la donazione. Ce lo disse più di una volta e con sempre maggiore insistenza. Negammo l'autorizzazione e minacciammo di denunciarlo. Ci chiamò anche la sera con la stessa richiesta
.

Alla sera a casa mi venne il dubbio che volessero procedere nonostante la nostra opposizione. Andai la sera stessa di quel secondo giorno, dopo le 23, alla Questura di Milano che mi rimandò a quella di Bergamo. La mattina presto del terzo giorno andai alla Questura di Bergamo, ma nessuno riuscì a trovare il magistrato di turno. Io dicevo “mio fratello è vivo e vogliono espiantarlo” e loro mi rispondevano “non si preoccupi, se è vivo non lo tocca nessuno”. Andai dal cappellano dell'ospedale, un frate, gli spiegai la storia e anche lui mi disse che non lo potevano toccare. Il frate fu chiamato dai medici quella sera per dare a mio fratello l'estrema unzione, ma si rifiutò perché vide che respirava e si muoveva.

Dichiararono la “morte cerebrale” a nostra insaputa, quel giorno non lo dimenticherò mai: di tanto in tanto entravano ed uscivano dei medici, potevo credere che lo curassero, come loro dicevano. Invece dalla cartella clinica poi appresi che lo stavano dichiarando “morto cerebrale” per espiantarlo. I medici quella sera ci tranquillizzarono e ci mandarono a casa dicendo che non avrebbero fatto niente senza il nostro consenso. Invece rilevammo poi dalla cartella clinica, che appena usciti, mentre sostavamo incerti in sala d'attesa, Pietro veniva portato nella sala operatoria, a lato di quella dove c'era il malato che aspettava il cuore, un commerciante di Forlì, esponente dell'Aido, che da quattro mesi (seppi poi) alloggiava a Bergamo in albergo in attesa di un cuore. Così Pietro fu ucciso.

L'indomani mattina i primi parenti arrivarono all'ospedale e trovarono Pietro in obitorio, con un cerotto che andava dalla gola al pube. Mi telefonarono e mi precipitai.
Quando vidi mio fratello in obitorio, s
traziato gli giurai che avrei fatto giustizia. Andai subito da un avvocato per la denuncia. Dopo un anno conobbi la Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi con la quale perfezionai la denuncia.

La nostra odissea dalle sale ospedaliere si è trasferita nelle aule giudiziarie (vedi www.antipredazione.org – sezione “I casi principali”). Io feci una deposizione di quattro ore davanti al Pubblico Ministero. Furono, mandati 9 avvisi di garanzia per omicidio, ma non siamo mai arrivati al processo. I medici inquisiti hanno potuto nonostante il procedimento in atto dichiarare altre “morti cerebrali” ed espiantare indisturbati. Invece l'iter processuale ha subito per 15 anni ritardi, disguidi, rinvii, amnistie, omissioni, richieste di archiviazione, opposizioni e riaperture, fino all'incidente probatorio (dove ai quattro nostri consulenti fu negato di parlare) che ha portato all'archiviazione, nonostante per dichiarazione dello stesso giudice le indagini preliminari non fossero esaustive su fatti importantissimi.
Sono passati altri 6 anni nell'impossibilità di riaprire il caso per carenza di mezzi finanziari, ma abbiamo ben presente che questa denuncia per “omicidio volontario” può essere “riaperta”su fatti nuovi e inoltre sottoposta alla Corte Europea di Strasburgo.

 

Mario Tarantino
Consigliere Nazionale
Lega Nazionale
Contro la Predazione di Organi
e la Morte a Cuore Battente


 

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Fonte:
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