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COMUNICATO STAMPA n. 17
11-Giugno-2002
FORSE QUEL PADRE, PEDIATRA ROMANO
CHE HA ACCOLTELLATO IL FIGLIO 17enne L'8 GIUGNO
VOLEVA SOLO SALVARLO DAL TRAPIANTO
Forse
quel padre, pediatra romano, che ha accoltellato il figlio al Policlinico di
Modena lo ha fatto solo per impedire il trapianto dell'intestino sul figlio
17enne. Questo padre è stato per caso sottoposto a pressioni pesanti da parte
dei medici che hanno in cura il figlio minorenne? Al punto da armarsi?
Chi si oppone al trapianto viene colpevolizzato, classificato come snaturato,
impastoiato in situazioni senza vie d'uscita? Al punto da armarsi?
Sta per caso nella prassi diventando obbligatorio il trapianto?
L'adolescente da 6 mesi aveva perso l'uso dell'intestino per colpa, dice la
stampa, di una
“imprevedibile degenerazione genetica”
ovvero di una non meglio precisata “malattia rara” che ha
imposto da sei mesi l'alimentazione solo per vena.
Il professore Antonio Daniele Pinna, trapiantatore di visceri, a cui
l'adolescente è stato “affidato” afferma
“ho fiducia che potrà riprendere una vita quasi normale”
dopo il trapianto. Dice proprio tutta la verità? O sta
illudendo?
Quel padre, che qualcuno tenta di far passare come un allucinato in preda al
dolore, ha dichiarato: “Per me no, sono sicuro che non c'è più niente da
fare... per lui solo la morte è una liberazione”.
Forse quel padre sa veramente cosa è un trapianto.
Forse considera questo trapianto una folle sperimentazione sul corpo del figlio.
Certo sa che gli immunosoppressori somministrati per impedire il rigetto lo
renderanno un malato cronico, preda di molteplici malattie da immunodeficienza.
Sa che i trapiantati devono ricorrere a cure psichiatriche.
Sa che suo figlio vivrà come una cavia.
E, ancor peggio, sa che una persona in coma verrà uccisa per trasferire quelle
viscere nel ventre di suo figlio. Se un padre è convinto che un trapianto è una
disgrazia, è lecito che la pressione sanitaria si imponga in modo così
totalitario ? Conosciamo le forme dell'ipocrisia sanitaria, le dichiarazioni di
buone intenzioni, che ti riducono a cavia.
Nessuno può togliere al cittadino il diritto di giudicare una terapia e di rifiutarla. Nessun medico ha il diritto di imporre una terapia, ricattando i malati o i familiari e minacciando che un diverso comportamento li rende responsabili della morte. Una società si misura da come affronta la morte.
Questa società, questa sanità ha coltivato la paura della morte per renderci cavie e sperimentare in vivo impunemente.
Nerina Negrello
Presidente