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COMUNICATO STAMPA
Anno XXXIV n.11
22 Giugno 2018
INTERVISTA AL DR. PAUL BYRNE
SULLA “MORTE CEREBRALE”
Decretata per evitare agli espiantatori la galera per omicidio
In questa intervista il Dr. Paul Byrne, massima voce nel dibattito internazionale, con eccezionale chiarezza smaschera concetti e parole del sistema sanitario-giuridico istituzionale che ha imposto il dogma della cosiddetta “morte cerebrale” dichiarata sui vivi che hanno perso la coscienza. Tale simulazione ha equiparato la pseudo morte cerebrale a cuore battente alla Morte vera in arresto cardio-circolatorio e respiratorio protratti, per sviluppare la pratica affaristica degli espianti-trapianti di organi vitali nonché l'eliminazione autoritaria di malati affetti da lesioni encefaliche gravi, come nel caso del piccolo Alfie, così da evitare agli espiantatori la galera per omicidio.
***
“VISITAI ALFIE: IL PROBLEMA E' LA MORTE CEREBRALE”
Intervista a Paul Byrne di Benedetta Frigerio
Da dove nasce l’approccio medico svelato al mondo in maniera palese dal piccolo Alfie Evans? La risposta per il dottor Paul Byrne, neonatologo di fama internazionale, che nel dicembre del 2017 chiamato dalla famiglia del bambino volò a Liverpool per visitarlo, è chiara da anni: «Tutto nasce dalla definizione di morte, non più clinica ma cerebrale, sancita nel 1968 da una commissione medica di Harvard».
Dottor Byrne, ci spieghi
perché lei differenzia la morte reale dalla morte cerebrale e quali implicazioni
ha questa distinzione?
Ho avviato una terapia intensiva per
bambini malati nel 1963 presso il Cardinal Glendon Hospital for Childrend di St.
Louis, ero profondamente animato dall’intenzione di sostenere la vita in ogni
modo possibile. Durante questo periodo, sono state scoperte nuove terapie. Ma
pochi anni dopo cominciò a diffondersi una nuova definizione di morte: il
paziente non era più considerato morto solo dopo la cessazione delle funzioni
cardiache e circolatorie, quindi anche respiratorie e del sistema nervoso, ma
bastava rilevare l’assenza di attività dell’encefalo per dichiararlo morto. Nel
1975 nel mio reparto fu ricoverato un bimbo nato prematuro, Joseph. Venne
ventilato e poi dichiarato cerebralmente morto perché il suo
elettroencefalogramma non dava segni di attività. Ma Joseph era vivo, quindi
continuai a curarlo: oggi è padre di tre figli. Da quel momento ho cominciato a
interrogarmi sulla definizione di morte cerebrale, scoprendo che era una bugia.
Cosa c’entra tutto questo
con Alfie che non era stato dichiarato "cerebralmente morto"?
Questa visione ha un impatto enorme sui pazienti come Alfie. Se concepiamo le
persone morte, e quindi non più degne di cure, quando il loro cervello non dà
segnali di attività, si arriva a pensare che la persona con attività cerebrali
minime abbia minore dignità. Se la misura della vita è il cervello allora
diventa normale pensare che siccome parte del cervello di Alfie non appariva
normale (aveva anche le convulsioni), allora il bambino era quasi morto e quindi
non degno di cure. Non a caso, anche se Alfie era vivo, invece che ricevere la
tracheostomia e le cure, hanno deciso, come se fosse normale, di farlo morire.
Quando poi lo hanno visto respirare per quattro giorni anche senza la
ventilazione, i medici, pur sorpresi, sapevano che avrebbe faticato a
riprendersi senza cure adeguate.
Come si sarebbe comportato
come medico di fronte ad Alfie?
Tutti i medici sanno che dopo due o tre settimane di ventilazione, e certamente
dopo un anno e mezzo come per Alfie, è necessario praticare la tracheostomia.
Non sappiamo se poi Alfie avrebbe respirato più a lungo con la tracheostomia.
L’unico modo per saperlo era curarlo. I genitori di Alfie hanno combattuto
contro questa visione riduttiva e falsa e hanno svelato a molti la verità che il
mondo, immerso nella cultura della morte, non vede più. O meglio la vedono le
persone normali che non sono state ancora indottrinate, come la gente che ha
protestato a Liverpool.
Come le sono apparsi Alfie
e la sua famiglia?
Siamo immersi nella cultura della morte e Alfie è stato chiamato a farcelo
capire grazie ai suoi genitori che si sono posti contro un sistema medico e
giuridico gigantesco, non diverso da quello canadese e americano. La morte
cerebrale è un’imitazione della morte, non è morte reale. Ma è utile al mercato
degli organi, che spinge a guardare le persone il cui sistema circolatorio è
attivo come non persone e il loro corpo come un insieme di pezzi da ricambio.
In poche parole sta
dicendo che la cultura della morte nasce dalla donazione di organi di persone
vive.
Non è possibile espiantare gli organi da un cadavere. Per farlo c’è bisogno di
una persona viva, che però bisogna chiamare morta per giustificare questa
prassi. In questo modo si comincia a pensare che la vita c’è ed ed degna solo se
una persona ha le funzioni cerebrali almeno minimamente attive, altrimenti perde
di dignità. Questa visione è parziale ed elimina la concezione di anima.
Dottore, qual è invece la
sua concezione?
La vita di ogni persona è un
continuum
dal concepimento alla morte reale (mors
vera), che ha
dignità anche se la condizione in cui si trova non ci piace. Si deve continuare
a curare ogni persona finché le sue funzioni respiratorie, cerebrali e
circolatorie non sono tutte cessate.
Pensa che sia una
coincidenza che la definizione di "morte cerebrale" e il primo trapianto si
siano verificati uno in fila all’altro nel 1967-68?
I ricercatori si erano accorti dell’impossibilità di praticare espianti di
organi da cadaveri. L’unico modo per riciclarli era quello di prenderli da
persone vive. Così oggi è pieno di gente giudicata morta de medici o giudici,
che invece è viva. Ho visitato in Canada Taquisha Mckitty, viva nel suo letto ma
dichiarata cerebralmente morta il 24 settembre 2017: la Corte Suprema deciderà a
breve se è viva o morta e quindi se ha i requisiti per essere curata. Andai in
California a visitare Jahi McMath dichiarata cerebralmente morta nel 2013. Jahi
fu poi trasferita in New Jersey, grazie alla battaglia legale della famiglia,
dove ha ricevuto la tracheostomia e la peg. Jahi oggi vive.
La cronaca riporta diversi
casi di gente dichiarata morta cerebralmente che poi si è risvegliata. Ogni
volta i medici sostengono che ciò sia avvenuto per via di un errore nella
diagnostica di accertamento della morte cerebrale che deve confermare l’assenza
di respiro, di funzioni cerebrali (compreso il tronco encefalico) e di
percezione del dolore.
Quando accade dicono che c’è stato un errore nella diagnostica, ma il vero
problema è nella loro concezione di vita e di morte.
Per negare questa evidenza
c’è persino chi, magari anche ateo, grida al miracolo.
I miracoli
possono accadere, ma sono tali perché contraddicono le leggi naturali. In questi
casi non c’è contraddizione. La verità è che tutti questi pazienti dichiarati
morti non lo erano. Il loro cuore non era fermo e la loro circolazione non era
cessata da ore. Non erano corpi in decomposizione. Di miracoloso c’è quindi che
nessuno ha toccato gli organi di quelle persone prima che si risvegliassero.
In Gran Bretagna, e ora
anche in Italia, la legge dice che si può chiedere di non essere "resuscitati" o
"rianimati", che significa?
I medici non hanno il potere di resuscitare nessuno, anche se si parla di
“resurrezione” o "rianimazione": o sei vivo e quindi ti curo o sei un cadavere e
nessuno può prendersi più cura di te. Se sei un cadavere ti può resuscitare solo
Dio.
Se in questo momento si
trovasse davanti ad un paziente incapace di respirare da solo, di reagire agli
stimoli o di provare dolore e le cui funzioni cerebrali apparissero del tutto
nulle, cosa farebbe?
Non lo dichiarerei mai morto. Incoraggio sempre ad esaminare la tiroide del
paziente, se poi la tiroide non funziona bisogna somministrare le cure per la
tiroide, che così può magari aiutare il cervello a guarire o portare
all’alimentazione e la respirazione autonome. Ci sono molte cose da fare per
aiutare una persona a vivere finché non muore veramente. Recentemente un
ragazzino di 9 anni, dichiarato cerebralmente morto, è stato curato e ora sta
bene.
Perché se l’esperienza
nega la definizione di morte cerebrale è così difficile tornare indietro?
Solo nel 2017 in America il mercato degli organi ha fatturato 34 bilioni
dollari. È un mercato globale, presente anche in Italia.
(…) Il punto è che sono stati adottati tanti criteri diversi di "morte cerebrale". Nessuno di questi però è fondato su evidenze: quando qualcuno viene dichiarato cerebralmente morto e poi si risveglia certi diranno che non sono stati rispettati i criteri esatti o che ci sono stati errori diagnostici. Ma quello che sappiamo è che questi pazienti si sono risvegliati perché i parenti si sono opposti ad una definizione che giudica morto chi ha il cuore che batte.
(La Nuova Bussola Quotidiana – 3 giugno 2018)
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