LEGA
NAZIONALE CONTRO LA PREDAZIONE DI ORGANI
E
LA MORTE A CUORE BATTENTE
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nel 1985
COMUNICATO STAMPA
Anno XXV n.12
25 Settembre 2009
COMA VEGETATIVO - STATO DI
MINIMA COSCIENZA - "MORTE CEREBRALE"
CERTEZZE MILLANTATE
A quanti seguono con attenzione lo sviluppo “nebuloso” della Sanità
istituzionale nel settore degli espianti/trapianti, vogliamo sottoporre
l'articolo dell'Economist, da noi tradotto, che segnala un lavoro di ricerca sul
coma vegetativo pubblicato su BCM Neurology del 21/07/09 (“Diagnostic
accuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus
versus standardized neurobehavioral assessment” di Schnakers, Vanhaudenhuyse,
Giacino, Ventura, Boly, Majerus, Moonen e Laureys),
tema di particolare attualità nella sua complessità. L'articolo ci è stato
trasmesso dai colleghi medici inglesi, che lo hanno visto come passo avanti
nella critica alle certezze sul coma e come speranza di sviluppo di critica alla
cosiddetta "morte cerebrale".
L'importanza
di questo articolo sta principalmente nel fatto che gli stessi neurologi
ammettono che non ci sono certezze e che sono stati fatti considerevoli errori
di diagnosi, quindi è incomprensibile che si possa sostenere la “morte
cerebrale” a cuore battente ed imporla, considerato che anche in quella non ci
sono certezze.
Comitato Medico
Prof. Dott. Massimo Bondì
L.D. Pat. Chir. e Prop. Clin. Univ. La Sapienza Roma
Patologo e Chirurgo generale
Presidente
Nerina Negrello
Sorte avversa per qualcuno...
23 Luglio 2009 da The Economist edizione
stampata
Tradotto da Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore
Battente
Uno
studio recentemente pubblicato sostiene che molte persone a cui è stato
diagnosticato uno
stato vegetativo, non lo sono
E' una
questione di “etichette”. Veramente possono fare la differenza tra la vita e la
morte. Una persona in un letto di ospedale con un’etichetta con la scritta
“stato di minima coscienza” sarà sottoposta ai trattamenti di sostegno alla vita
a tempo indeterminato. Se sull’etichetta è scritto “stato vegetativo” questi
trattamenti possono essere sospesi in qualsiasi momento. Un profano può non
capire la differenza, ma un medico sì.
O no? Caroline Schnakers, Steven Laureys e loro colleghi dell’Università di
Liège hanno appena pubblicato un preoccupante studio sul ‘BioMed Central
Neurology’ che sostiene che forse non è così. Forse un medico non può capire la
differenza o peggio, preferisce usare la sua intuizione piuttosto che usare le
ultime tecniche diagnostiche per affermare la differenza. Di conseguenza, molte
persone potrebbero rischiare la sospensione dei trattamenti di sostegno alla
vita anche quando hanno segnali intermittenti che la loro coscienza non è del
tutto scomparsa.
I pazienti in stato vegetativo sono quelli che non mostrano alcun segno di
coscienza e i tribunali di molte nazioni possono prendere in considerazione le
istanze per l’interruzione dell’alimentazione e idratazione, permettendo loro di
morire (come è successo nel caso molto mediatizzato di Terry Schiavo, in
Florida, qualche anno fa), per poi espiantare i loro organi per trapianti. I
pazienti che mostrano segni di coscienza -quelli che sono in grado di obbedire
ad un comando, per esempio sbattere le palpebre o seguire con gli occhi un
oggetto in movimento- vengono definiti ‘non vegetativi’ e questa sorte viene
loro risparmiata. Ci sono delle prove che questi pazienti, a differenza dei
pazienti in stato vegetativo, possono sentire il dolore e quindi ci si impegna
ad alleviare la loro sofferenza e a riabilitarli.
Tutti sono d’accordo che distinguere tra questi due tipi di coma non è mai stato
facile. Anzi nel 1996 Keith Andrews e i suoi colleghi del ‘Royal Hospital for
Neurodisability’ di Londra hanno trovato che il 40% dei loro pazienti in stato
vegetativo erano stati diagnosticati erroneamente. All’inizio di questo decennio
però i medici hanno avuto a disposizione due nuove tecniche e ci si aspettava
perciò che le cose migliorassero.
Un battito di ciglia, e puoi scamparla
Uno dei metodi innovativi era una nuova categoria
diagnostica - lo stato di minima coscienza. Questo descrive pazienti che stanno
un po' meglio di quelli nello stato vegetativo, perché mostrano oscillanti segni
di coscienza. Ad esempio, qualche volta, ma non sempre, potrebbero passare il
test del riflesso palpebrale. L’altro nuovo metodo era la “JFK Coma Recovery
Scale” (una scala di recupero dal coma). Questo consiste in oltre 20 test
clinici e si caratterizza nella possibilità per i medici di distinguere non solo
i pazienti in stato vegetativo da quelli in stato di minima coscienza, ma anche
quelli che sono usciti dallo stato di minima coscienza. Questo metodo è
ampiamente accettato in quanto dà una diagnosi accurata di queste condizioni. Ma
lo stanno applicando?
Lo studio del team di Liège, ritiene di no. Hanno confrontato le diagnosi di 103
pazienti secondo l’opinione dei medici curanti e quelle determinate dalla scala
di recupero dal coma. Di questi pazienti presi in considerazione, 44 sono stati
diagnosticati dai medici curanti in coma vegetativo, mentre la scala di recupero
del coma indicava che 18 dei 44 fossero in uno stato di minima coscienza. Questa
è la stessa percentuale di errore – circa 40% - che il dott. Andrews aveva
rilevato 13 anni prima a Londra. Sembra anche che 4 di 40 pazienti diagnosticati
in stato di minima coscienza, ne erano poi usciti. Sebbene i loro medici non
l’avessero notato, questi pazienti erano a quel punto in grado di comunicare.
La conclusione cauta del Dr Laurey è che i neurologi non vogliono che la loro
abilità diagnostica venga rimpiazzata o superata da una scala di recupero.
Ritiene che lo stato di minima coscienza sia una diagnosi relativamente nuova ed
è possibile che qualche medico non sia ancora a suo agio con il criterio, ma
questa è una ragione in più per utilizzare la scala di recupero. Il guaio di una
diagnosi basata sulla convinzione dei medici, piuttosto che su una misurazione,
è che essa è soggetta alle influenze esterne, ad esempio delle compagnie
assicurative che secondo Dr Laurey preferiscono una diagnosi di stato vegetativo
ad una diagnosi di stato di minima coscienza, perché coloro che sono in stato
vegetativo non richiedono costose riabilitazioni.
Tutto ciò è inquietante. E’ vero che lo studio di Liège è una singola ricerca,
ma se fosse riproposta altrove metterebbe in discussione sia il trattamento dei
pazienti più vulnerabili, che la serietà dei medici nei confronti degli
strumenti a loro forniti dalla scienza con fatica.
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