Giornalisti e Associazioni 
che attingono a questa fonte sono tenuti ad indicare quanto riportato di seguito:


Fonte:
www.antipredazione.org
"Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente" Indirizzo: Pass. Canonici Lateranensi, 22 - 24121 Bergamo (ITALIA)

 

INTERVISTA A MARIO TARANTINO
 

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La vicenda di Pietro Tarantino risale a tredici anni fa. Siamo alla vigilia di Pasqua, Pietro, camionista, sposato e padre di due figli quella mattina doveva recarsi a Milano per una commissione. Giunto a Vaprio d'Adda si è scontrato con un altro autoarticolato: erano da poco passate le 7, ma già a quell'ora le strade erano intasate. L'impatto fra i due mezzi pesanti fu violento; nello scontro Pietro riportò un trauma cranico e cadde in coma. “In un primo momento mio fratello venne portato al pronto soccorso di Vaprio d'Adda – racconta Mario Tarantino, pranoterapeuta di Brugherio, – e poi trasferito con elicottero agli Ospedali Riuniti di Bergamo”. E proprio al Maggiore inizia il calvario di Tarantino.

Quando ha saputo dell'incidente?

“Fummo avvertiti verso le nove. Io e mia cognata arrivammo all'ospedale di Bergamo intorno alle undici. Ci venne incontro una dottoressa che ci disse che mio fratello era morto e dovevamo subito firmare per l'espianto degli organi. Ho risposto che prima di firmare volevo vederlo. Passava il tempo, sembrava un sequestro. Dopo molte insistenze, verso le due potei entrare nella rianimazione della neurochirurgia. Lì toccai a mio fratello le piante dei piedi, i palmi delle mani, le ascelle. Rispondeva: ritirava le gambe e si muoveva al contatto con la mia mano. Era vivo. Io faccio il pranoterapeuta e so che mio fratello era vivo e avrei potuto aiutarlo. Il primario mi negò il permesso, ma io nel corso della giornata riuscii ad entrare e a trasmettergli energia sul cuore e sulle parti vitali. La mattina seguente quando arrivai Pietro era in un'altra sala più importante con delle flebo attaccate. Osai pensare che fosse un miglioramento. Invece alle due del pomeriggio il primario della Rianimazione, Dr. Gravame, ci chiamò nel suo studio e ci chiese gli organi di Pietro “per salvare altre vite”. Gli dissi che mio fratello si doveva salvare perché era vivo. Il primario replicò che “in ogni caso sarebbe rimasto su una carrozzella”. Ci fu uno scontro tra noi e Gravame continuava a ripetermi “guardi che non posso sprecare una macchina per suo fratello”. Pretendeva che firmassimo la donazione. Ce lo disse più di una volta e con sempre maggiore insistenza. Negammo l'autorizzazione e minacciammo di denunciarlo. Ci chiamò anche la sera con la stessa richiesta”.

Quando ebbe paura che volessero espiantarlo indipendentemente dal suo veto?

“Alla sera a casa mi venne il dubbio che volessero procedere nonostante la nostra opposizione. Andai la sera stessa, dopo le 23, alla Questura di Milano che mi rimandò a quella di Bergamo. La mattina presto del 3° giorno andai alla Questura di Bergamo, ma nessuno riuscì a trovare il magistrato di turno. Io dicevo “mio fratello è vivo e vogliono espiantarlo” e loro mi rispondevano “non si preoccupi, se è vivo non lo tocca nessuno”. Andai dal cappellano dell'ospedale, un frate, gli spiegai la storia  e anche lui mi disse che non lo potevano toccare. Il frate fu chiamato dai medici quella sera per dare a mio fratello l'estrema unzione, ma si rifiutò perché vide che respirava e si muoveva”.

Ma è vero che dichiararono la “morte cerebrale” a vostra insaputa?

“Quel giorno, non lo dimenticherò mai, di tanto in tanto entravano ed uscivano dei medici. Potevo credere che lo curassero, come loro dicevano. Invece dalle cartelle cliniche poi appresi che lo stavano dichiarando morto per espiantarlo. I medici quella sera ci tranquillizzarono e ci mandarono a casa dicendo che non avrebbero fatto niente senza il nostro consenso. Invece ricavammo poi dalle cartelle cliniche, che appena usciti, mentre sostavamo incerti in sala d'attesa, Pietro veniva portato nella sala operatoria, a lato di quella dove c'era il malato che aspettava il cuore, un commerciante di Forlì, esponente dell'Aido, che da quattro mesi (seppi poi) alloggiava a Bergamo in albergo in attesa di un cuore. Così Pietro fu ucciso”.

Quando l'avete saputo?

“L'indomani mattina i primi parenti arrivarono all'ospedale e trovarono Pietro in obitorio, con un cerotto che andava dalla gola al pube. Mi telefonarono e mi precipitai”.

Cosa provò quando vide suo fratello in obitorio?

“Straziato gli giurai che avrei fatto giustizia. Andai subito da un avvocato per la denuncia.  Dopo un anno conobbi la Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi con la quale perfezionai la denuncia”. 

Ma la lunga odissea del Tarantino dalle sale ospedaliere si è trasferita nelle aule giudiziarie. Nel frattempo il primo figlio si è sposato. La seconda ha compiuto 18 anni.

“Io feci una deposizione di quattro ore davanti al pubblico ministero. Furono, mandati 9 avvisi di garanzia per omicidio, ma non siamo mai arrivati al processo. Oggi i medici inquisiti sono cinque: Dr. Gravame Vincenzo, Dr. Lubrano Francesco, Dr. Rizzi Maurizio, Dr. Bonito Virgilio, Dr. De Gonda Federico”.

Dopo 13 anni crede ancora nella giustizia?

“Siamo decisi ad andare fino in fondo perché quello che è accaduto a noi non si ripeta per altri. Siamo pronti ad arrivare anche alla Corte Europea di Strasburgo”.

 

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